IL TRIBUNALE Visti gli atti del procedimento camerale n. 38/04 R.G.M.C.R.; sentiti il p.m. ed i difensori degli indagati Pellegrini Ezio, Ghirelli Paolo, Lisi Roberto, Franceschi Carlo, e Monteverdi Gianpaolo. O s s e r v a Con sentenza 31 luglio 2004 la Corte di cassazione, in accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica di Parma, annullava con rinvio l'ordinanza 12 dicembre 2003 con la quale il Tribunale di Parma aveva revocato il decreto del giudice per le indagini preliminari in sede che aveva disposto. «il sequestro preventivo, del complesso immobiliare denominato "Comparto C", comprendente l'area ex CAP ed il sedime di via Porta Pia di proprieta' della D.U.C. S.p.a.» richiesto dal p.m. sulla base dei «gravi indizi» emersi a carico di numerosi indagati, tra cui Pellegrini Ezio, legale rappresentante della D.U.C. S.pl.a. e Ghirelli Paolo, legale rappresentante della Bonatti S.p.a., socia della D.U.C. S.p.a., in ordine ai reati di cui agli artt. 110, 81 cpv., 323 primo e secondo comma, 61 n. 7 c.p. (capo A; in Parma, dal 1999 al 2003 e in parte. tutt'ora in corso di consumazione), 110, 81 cpv., 479, 48 e 61 n. 2 c.p. (capo B; in Parma, fino al 22 maggio 2000), ipotizzati in relazione alla aggiudicazione, al raggruppamento temporaneo di imprese Bonatti S.p.a., della gara di concessione per la costruzione e gestione dei nuovi uffici comunali di Parma (D.U.C:) e dell'annesso parcheggio. Nelle premesse della indicata pronuncia la suprema Corte rilevava che il tribunale aveva ritenuto nella specie insussistente il fumus boni juris del menzionato reato di abuso di ufficio sulla base del conclusivo rilievo che seppure la vicenda era stata caratterizzata da alcune irregolarita' amministrative mancava, comunque, la prova della volonta' della pubblica amministrazione di procurare intenzionalmente un ingiusto vantaggio patrimoniale alla societa' vincitrice della gara e cio' per l'assenza del benche' minimo indizio circa l'esistenza di una collusione tra pubblici funzionari e rappresentanti della ditta aggiudicataria. Accogliendo il primo dei motivi che il Procuratore della Repubblica aveva posto a base dell'articolato ricorso presentato, suprema Corte, dopo aver in via di anticipata sintesi rilevato che tribunale, estendendo il proprio controllo anche al merito della imputazione, aveva esorbitato dai ristretti limiti che circoscrivono l'ambito della cognizione giurisdizionale in materia di misure cautelari reali, cosi' arrogandosi compiti propri dell'accertamento giudiziale sul merito dell'azione penale, indicava il seguente principio di diritto: «la verifica della legittimita' del provvedimento con cui e' stato disposto un sequestro preventivo non puo' sconfinare nel sindacato sulla concreta fondatezza dell'accusa. dovendosi contenere nella valutazione della astratta possibilita' di sussumere il fatto attuibuito a un soggetto in una determinata ipotesi di reato fumus delictis e, a un tempo, di accertare se esista un periculum in mora e cioe' il pericolo che la libera disponibilita' della cosa pertinente al reato possa agevolare o protrarre le conseguenze di esso o agevolare la commissione di altri reati ... esula, pertanto, dal controllo affidato al giudice della cautela reale non solo il concreto accertamento delle circostanze difatto su cui l'accusa e' fondata, ma anche l'analisi dell'elemento psicologico del reato, a meno che la carenza di esso sia rilevabile ictu oculi, evenienzia quest'ultima certamente non ricorrente nel caso in esame, stando agli stessi dati argomentativi offerti dal tribunale». Osservava, al riguardo, la Corte che, diversamente opinando, «si verrebbe impropriamente ad anticipare alla fase cautelare una decisione sulla questione di merito, in un contesto in cui lo sviluppo delle indagini in corso non consente ancora una focalizzazione della imputazione e le determinazioni del pubblico ministero circa l'esercizio dell'azione penale. Una siffatta motivazione per eccesso non e' soltanto non dovuta: essa altera le regole che assicurano il contraddittorio sulla fondatezza della ipotesi criminosa delineata dal pubblico ministero, che, salvo quanto stabilito in materia di liberta' personale, puo' concepirsi solo dopo che l'azione penale e' stata esercitata. Stabilire se il fatto sussiste, se l'imputato lo ha commesso, se sussiste l'elemento soggettivo del reato, se esistono eventuali cause di non punibilita', e' materia del giudice del dibattimento, davanti al quale le parti possono chiedere ammissione delle prove a carico e a discarico nell'ambito delineato - dall'art. 187 c.p.p.; nei procedimenti che transitano per l'udienza preliminare, il contraddittorio si esercita gia' prima del dibattimento sui materiali investigativi che si sono cristallizzati a seguito della chiusura delle indagini (art. 421 comma 3 c.p.p.), e sugli ulteriori dati derivanti dalla eventuale attivita' di integrazione probatoria (artt. 421-bis e 422 c.p.p.).» Accertato, pertanto, che il solo compito affidato a questo giudice di rinvio e' quello di verificare se nel caso in esame sussistano «il fumus delicti, nei termini sopra precisati, ed il periculum in mora», ne consegue che i suindicati vincolanti, limiti, in quanto tali da ridurre i poteri attribuiti dal combinato disposto di cui agli artt. 322 e 324 c.p.p. ad una mera «astratta» verifica cartolare della correlazione fra la rubrica dei reati presupposti e le articolate imputazioni concretamente formulate a carico degli indagati, non possono che indurre questo tribunale a sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale delle predette norme che, ove applicate nella indicata restrittiva interpretazione della Corte di cassazione, impedirebbero la doverosa verifica dei presupposti che legittimano l'applicazione della misura de qua. Premesso che dall'imperfetta nonche' lacunosa formulazione dell'art. 321 c.p.p. che oltre a non prevedere alcun elemento dal quale ricavare i c.d. fumus commissi delicti, requisito implicito nell'idea di cosa pertinente al reato e quindi indefettibile requisito di ogni misura cautelare in materia penale, non delinea neppure l'ambito e l'intensita' dell'accertamento che, in ordine ad esso, va compiuto dal giudice al fine di stabilire se disporre o meno la misura richiesta dall'ogano d'accusa, e' derivata, in giurisprudenza e dottrina, una contraddittoria individuazione dell'ambito del sindacato che, in tema di misure cautelari reali, l'ordinamento rimette al tribunale in sede di riesame; va - pregiudizialmente ricordato che la legittimita' dell'interpretazione secondo il diritto vivente dell'art. 324 - c.p.p. in termini del tutto simili a quelli a cui questo giudice deve uniformarsi, ai sensi dell'art. 623, lettera a) del c.p.p., e' gia' stata sottoposta al vaglio della Corte costituzionale che, con le decisioni in data 17 febbraio 1994 n. 48 e 8 giugno 1994 n. 229, ne ha dichiarato l'infondatezza con riferimento ai parametri evocati dai giudici remittenti (artt. 24, secondo comma, 42, secondo comma, 97 e 111, primo comma, della Costituzione). Ritiene, per altro, questo tribunale che sussistano le condizioni per un nuovo esame della sopra illustrata questione al fine di ottenere una pronuncia additiva che in applicazione dci principi fissati nel novellato art. 111, secondo comma, della Costituzione consenta a questo giudice del riesame di accogliere ovvero disattendere le articolate prospettazioni delle parti sulla base di un criterio ermenutico che non sia la semplice «valutazione della astratta possibilita' di sussumere il fatto attribuito a un soggetto in una determinata ipotesi di reato»,: cosi' eventualmente rilevando le sole divergenze che ictu oculi risultino tra la fattispecie concreta oggetto del procedimento e la norma astratta in cui la stessa e' stata sussunta dal p.m., bensi' la puntuale verifica, nel pieno contraddittorio tra le parti, della concreta commissione di un fatto oggettivamente antigiuridico cosi' accertando, sia pure incidentalmente ed ai soli fini del sequestro, se sussistono indizi idonei a ricondurre il fatto, per come descritto dal pubblico ministero nella sua richiesta di applicazione della misura, ad una fattispecie penale tipica: se sussista cioe' un «favorevole giudizio di probabilita' circa il verificarsi della situazione che si vuole cautelare», vale a dire l'aggravarsi o il protrarsi delle conseguenze derivanti dall'illecito attribuito all'indagato. Il diverso ruolo del giudice del riesame fissato nella sentenza de qua dalla Corte di cassazione, vale a dire di semplice controllore della sola qualificazione giuridica del fatto reato indicato dal p.m., privando questo tribunale del potere-dovere di esercitare, sia pure nell'ambito delle non censurabili indicazioni di fatto offerte dal p.m., quel controllo di legalita' che e' proprio della funzione di terzieta' della giursdizione, si pone, pertanto, in insanabile contrasto con l'unica diversa interpretazione conforme al dettato del novellato art. 111, secondo comma, della Costituzione, cosi' come puo' inferirsi anche dal rilievo che con la richiamata sentenza n. 48 del 1994 la Corte costituzionale, pur dichiarando non fondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 321 e 324 c.p.p., con riferimento al citato art. 111 della Costituzione, aveva tuttavia affermato che «neppure e' a dirsi che il controllo del giudice non possa in alcun modo spingersi all'esame del fatto per il quale si procede». Indicazione questa che aveva successivamente indotto la Corte di cassazione (cfr. Cass. Pen. Sez. III 27 gennaio 2000 n. 414) ad affermare, in relazione all'art. 324 c.p.p., un principio ermenutico diverso da quello al quale questo giudice di rinvio deve uniformarsi atteso che la suddetta pronuncia della suprema Corte e stata cosi' massimata: «la legittimita' del sequestro preventivo - anche alla stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sent. n. 48 del 1994 e dalle sezioni unite della Corte di cassazione con la sent. 29 gennaio 1997 n. 23, Bassi (se letta, quest'ultima, nella sua interezza) implica non soltanto l'astratta riconducibilita' dei fatti rappresentati dal p.m. ad un'ipotesi di reato, ma anche la sussistenza in concreto del fumus di detto reato, da intendersi nel senso di una ragionevole prospettiva che esso possa essere in seguito considerato come davvero esistente; condizioni, questa, che il giudice dell'eventuale riesame deve verficare anche alla luce delle argomentazioni difensive. In sede di disposizione del sequestro preventivo, nonche' di riesame, il giudice deve stabilire l'astratta configurabilita' del reato ipotizzato. Tale deliberazione non limita, tuttavia, i suoi poteri, nel senso che egli debba prendere atto esclusivamente della tesi accusatoria, senza svolgere alcun'altra attivita', ma determina soltanto l'impossibilita' di esercitare una verfica in concreto della sua fondatezza. Compito imprescindibile del giudice e', pertanto, non solo quello di valutare l'astratta riconducibilita' del fatto a una fattispecie penale, ma anche quello di verficare, nel singolo caso concreto - sulla base dei fatti risultanti dagli atti, anche alla luce delle argomentazioni difensive - se sia ravvisabile il fumus del reato prospettato dall'accusa». Ritiene, pertanto, il tribunale che nel caso in esame l'art. 324 c.p.p., per come applicabile da questo giudice di rinvio, viola il principio Costituzionale del «giusto processo» in quanto, oltre ad alterare la condizione di parita'. fra le parti, non garantisce, altresi', il pieno esercizio della funzione giurisdizionale - cosi' vulnerando la stessa posizione di terzieta' del giudice, di fatto condizionato, nel suo potere decisionale, dalle modalita' con le quali il pubblico ministero ha formulato l'ipotesi accusatoria, in relazione alla quale, per altro, l'esercizio del diritto di difesa degli indagati Pellegrini, Ghirelli, Lisi. Frateschi e Monteverdi appare come gia' detto, compromesso nella sua concreta esplicazione non potendo il decidente, nonostante l'articolato svolgimento dei motivi di esame dagli stessi presentati ed in parte gia' accolti da questo tribunale con la citata ordinanza del 12 dicembre 2003, compiere alcuna indagine ulteriore rispetto alla limitativa verifica della astratta configurabilita' del reato ipotizzato, cosi' fra l'altro vanificando il potere concesso ai suddetti indagati dall'art. 322 c.p.p. di «proporre richiesta di riesame anche nel merito, a norma dell'art. 324 c.p.p.».